Si tratta di un libro storico-biografico che, avvalendosi di una lunga ricerca archivistica, racconta l’intera vicenda terrena del martire evangelico: dalla sua nascita a Busca nel 1507, alla sua morte cruenta a Torino nel 1558. Sono vicende che hanno segnato il passato del nostro territorio e che purtroppo quasi nessuno conosce. L’editore è fiero di presentare all’attenzione di tutti pagine di storia che non vanno mai dimenticate. L’11 novembre 2000, in piazza Castello a Torino, si scopri’ una lapide in ricordo di Goffredo Varaglia, pastore evangelico, nativo di Busca (in provincia di Cuneo), arso sul rogo nel marzo del 1558. La lapide veniva posta a spese del Comune torinese, perche’ la figura di Varaglia, rappresentativa del movimento evangelico, é anche parte integrante della storia di Torino, del Piemonte, dell’Italia. Ora, a sette anni di distanza, la casa editrice Passaggio pubblica una biografia che ne ricostruisce l’intera vicenda: la scelta a quattordici anni di entrare nell’Ordine dei francescani Osservanti, il sofferto passaggio ai Cappuccini, l’intensa attività come predicatore itinerante, l’amicizia con Bernardino Ochino, il processo inquisitorio per eresia, i cinque anni di prigione a Roma, l’operato quale cappellano del potente cardinale Carlo Carafa… quindi la drammatica conversione alla fede evangelica, la fuga a Ginevra, la preparazione teologica nell’accademia di Calvino, il ministero evangelistico e pastorale in Piemonte, e infine l’arresto e il martirio a Torino. Frutto di dieci anni di ricerche in archivi italiani ed esteri, la biografia intende riscattare dall’oblio una testimonianza di vita tanto degna di nota quanto sconosciuta. Di qui il titolo: Una vita e un martirio da non dimenticare. Contestualizzata in quel grande movimento che fu la Riforma nel XVI secolo, la biografia dedica ampie pagine alla diffusione del messaggio evangelico in Italia, all’adesione dei valdesi alla Riforma, alla straordinaria opera svolta dalle chiese di Ginevra, Losanna e Neuchâtel al fine di sostenere la divulgazione del vangelo nell’antica penisola: stampando e diffondendo scritti evangelici in lingua italiana, coltivando rapporti epistolari con le chiese clandestine locali, inviando loro valenti predicatori, dando asilo a tanti credenti che dall’Italia erano costretti a fuggire a causa della persecuzione attuata dalle autorità locali, secolari e religiose. La ricerca focalizza poi su quanto avvenne nelle valli valdesi, dove Goffredo Varaglia svolse il suo breve ma intenso ministero. Interrogato dai suoi carnefici, il pastore evangelico rispose: “Io sono stato mandato a predicare ad Angrogna dalla chiesa italiana che è in Ginevra”. Gli Atti del processo inquisitorio, ricostruiti in modo critico in base ai manoscritti ritrovati nelle biblioteche di Berna e Oxford, permettono di capire nel dettaglio le convinzioni evangeliche di Varaglia, giustificate punto per punto con precisi riferimenti alla Bibbia. Lo spirito con il quale egli affrontò i suoi giudici, e infine i suoi carnefici, traspare dalle due lettere che egli scrisse dal carcere del Parlamento di Torino, nonché dalla testimonianza oculare di un credente che assistette al supplizio finale. Questi ed altri preziosi documenti consentono all’autore di ricostruire fino agli ultimi istanti la vita di Varaglia. Strangolato e bruciato sul rogo come eretico, egli lasciava a contemporanei e posteri una testimonianza di fede che oggi, finalmente, torna a parlare. Il libro è corredato da pregevoli rappresentazioni grafiche dell’artista Marco Carbone, le quali illustrano le tappe principali che segnarono la vita di Goffredo Varaglia. Torino, piazza Castello, 23 marzo 1558. “Non ho mai saputo cosa significhi credere come si deve né cosa sia veramente il vangelo, né la grazia di Gesù Cristo, né la forza dello Spirito Santo, salvo che da due mesi in qua. Perché non avrei mai pensato che essere testimone della verità di Dio e difensore della sua causa sarebbe toccato ad un simile verme di terra come me; né avrei mai pensato che il Signore delle vittorie avrebbe posto in una vaso di terra tanta forza come si è degnato di fare in me, per la sua sola grazia, bontà e misericordia. Ogni volta che sono stato davanti ai miei carnefici, mi pareva di essere loro giudice e che toccasse a loro aver paura di me, e a me essere testimone della salvezza… In questi conflitti ho capito che la fede non si impara senza tribolazioni, siccome non si può trovare un Gesù Cristo nazareno senza croce. Chiedo dunque a tutti i fedeli, per l’amore di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo, che preghino per l’accrescimento del suo vangelo. E siccome ha cominciato un’opera in me, non per alcun merito mio, anzi serrando i suoi occhi ai miei infiniti demeriti, si degni per la sua clemenza di portarla a compimento, fino all’ultimo sospiro della mia vita e goccia del mio sangue. Perché ribellarsi ad un Principe così grande e grazioso, o nascondere anche una sola sillaba della sua verità per paura della prigione o della morte, sarebbe il maggior sacrilegio, villania e torto che mai si possa fare al mondo. Continuiamo tutti a pregare per chi ci perseguita, anche se fino alla morte, e per chi ci aiuta con le preghiere a stare costanti. – 12 gennaio 1558” – (Goffredo Varaglia – Dalle prigioni del Parlamento di Torino)